dal sito ancitel.it
DOMANDA: Si chiede un parere in tema di rimborso delle spese legali agli amministratori locali alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 12645/2010.
RISPOSTA: Il quadro normativo di riferimento che riguarda le spese legali sostenute dagli amministratori locali, che sono stati eventualmente coinvolti in procedimenti giurisdizionali a loro carico anche se con esito assolutorio, non contempla disposizioni che obblighino espressamente il Comune al pagamento delle spese processuali sostenute dai medesimi, disposizioni al contrario esistenti solo per i dipendenti comunali (vedi art. 28 CCNL Comparto Regioni Autonomie locali 14.09.2000, trasposizione norma originariamente prevista dall'art. 67 del DPR n. 268/1987).
Vi sono, tuttavia, in materia orientamenti giurisprudenziali contrastanti che se da una parte consentono l'estensione dell'art. 28 del citato CCNL anche all'operato degli amministratori e non solo ai dipendenti pubblici (Consiglio di Stato - Sez. VI - sentenza n. 5367/2004), dall'altra emergono pronunce che si discostano dal suddetto indirizzo ritenendo applicabile per analogia iuris quanto previsto dall'art. 1720 del codice civile, ovvero del rapporto fondamentale esistente tra mandante e mandatario e l'obbligo del primo di risarcire le spese e i danni subiti dal secondo per l'espletamento dell'incarico ricevuto (Consiglio di Stato - Sez. V sentenza n. 2242/2000 e Consiglio di Stato Sez. III parere n. 792/2004, in cui sindaco e assessori sono stati assimilati al mandatario in mancanza di una disposizione specifica che regoli i rapporti patrimoniali con l'ente rappresentato).
Successivamente, in merito al primo orientamento sopra evidenziato, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha avuto modo di chiarire che l'amministratore di un ente locale presta la propria opera per conto dell'ente pubblico non a titolo di lavoro subordinato, come il pubblico impiegato, bensì quale rappresentante politico ossia a titolo onorario, non potendo pertanto essere assimilato ad un lavoratore subordinato (Corte di Cassazione Civ., Sez. Unite, sentenza n. 479/2006). Interpretazione giurisprudenziale che ha di conseguenza superato l'orientamento contemplante l'estensione della disciplina sulle spese legali prevista per il dipendente pubblico anche a favore dell¿amministratore locale.
Invece per ciò che concerne l'art. 1720 del codice civile, la Corte di Cassazione si è pronunciata nel senso di ritenere possibile per gli amministratori locali, ritenuti quali funzionari onorari e non pubblici impiegati, il rimborso delle spese sostenute a causa del proprio incarico e non semplicemente in occasione del medesimo, in quanto l'eventuale commissione di un reato non rientra nei limiti di un mandato validamente conferito (Corte di Cassazione Civ. - Sez. Unite - sentenza n. 479/2006 e Corte di Cassazione Civ. Sez. I sentenza n. 10052/2008). Dal che si desume che gli amministratori locali sono funzionari onorari, non pubblici impiegati, legati da un rapporto di mandante a mandatario con l'ente di appartenenza anche per le spese sostenute a causa del proprio incarico (ex art. 1720 codice civile).
Proprio sulla eventuale commissione di un reato da parte di chi agisce per la pubblica amministrazione, la Corte dei Conti ha avuto modo di affermare che anche se il processo penale a carico degli amministratori per fatti connessi all'espletamento di propri compiti si sia concluso con l'assoluzione, deve comunque coesistere l'ulteriore condizione della mancanza di conflitto di interessi con l'ente accertata dai fatti sottoposti a giudizio penale. Infatti è opinione dominante nell'ambito della giurisprudenza contabile che per non configurare conflitto di interessi occorre una sentenza emessa con la formula più ampia possibile, tale da far ritenere che il comportamento degli amministratori sia improntato al rispetto del principio cardine dell'art. 97 Cost. (Corte dei Conti - Sez. Liguria - sentenza n. 580/2008). A ciò si aggiunga la necessità del coinvolgimento iniziale dell'ente nella scelta del difensore, che deve essere individuato preventivamente e concordemente tra le parti (Consiglio di Stato - Sez. V - sentenza n. 552/2007). Da quanto illustrato appare evidente che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12645/2010, non ha inteso sconfessare l'art. 1720 del codice civile quale elemento qualificante del rapporto di mandante a mandatario esistente tra l'ente locale e gli amministratori come anche delle spese da questi sostenute per l'esecuzione dell'incarico, ma ha inteso piuttosto chiarire che in assenza di un nesso di causalità tra l'adempimento dell'ufficio e la perdita pecuniaria non può essere riconosciuto il diritto al rimborso delle spese sostenute dal mandatario - ovvero gli amministratori ricorrenti nel caso di specie esaminato dalla Cassazione - in quanto, come sopra richiamato, la risarcibilità del danno presuppone un comportamento incolpevole dell'amministratore. Comportamento incolpevole che non emerge nella fattispecie esaminata dalla Corte pronunciante la citata sentenza, in quanto gli amministratori istanti si sono limitati nel ricorso a fare richiesta di rimborso sulla base del semplice dato della corresponsione delle spese legali, senza nulla dedurre sulla loro condotta, come appunto si evince dalle motivazioni in estratto della sentenza che qui di seguito si riportano: "In ordine poi alla pretesa applicabilità della disciplina in tema di mandato, l'art. 1720 c.c. (secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, pagargli il compenso e risarcirgli i danni subiti a causa dell'incarico, ipotesi quest'ultima astrattamente evocabile nella specie) non risulta applicabile, sia perchè il danno risarcibile presupporrebbe un comportamento incolpevole, in ordine al quale, peraltro, i ricorrenti nulla hanno dedotto (la richiesta di rimborso è stata invero formulata sulla base del semplice dato della corresponsione delle spese legali), sia perchè le spese di difesa non sono legate all'esecuzione del mandato da un nesso di causalità diretta, collocandosi fra i due fatti un elemento intermedio, dato dall'elevazione di un'accusa poi rivelatasi infondata". |