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T O P I C    R E V I E W
85st Posted - 01/04/2012 : 18:06:06
Il Consiglio di Stato nella sentenza numero 1550 del 19 marzo scorso ha riaffermato un principio già consolidatosi in giurisprudenza, secondo il quale ai fini della qualificazione di un rapporto giuridico non deve aversi riguardo tanto al nomen juris speso dalle parti per designarlo, quanto alle caratteristiche da esso effettivamente assunte nella sua concreta attuazione (cfr. di recente C.d.S., V, 18 marzo 2010, n. 1581 : nel caso in cui la P.A. ponga in essere, anche se sotto il nomen iuris di contratto di appalto ovvero d'opera, un rapporto avente in realtà le caratteristiche del lavoro subordinato, seppur nullo di diritto per essersi proceduto all'assunzione senza il superamento del prescritto concorso o della eventuale prova selettiva, per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione trova comunque applicazione l'art. 2126 c.c., con conseguente diritto dell'interessato alle relative (eventuali) differenze retributive ed alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale; più indietro nel tempo v. ad es. V, 10 aprile 2000, n. 2061; 13 giugno 1998, n. 824; 21 dicembre 1994, n. 1549; 29 ottobre 1991, n. 1281).

Nel caso di specie, il Comune si duole che il Tribunale abbia fatto riferimento parametrico alla retribuzione prevista per il personale di ruolo addetto a mansioni simili, laddove avrebbe dovuto reputare sufficiente il compenso in concreto convenuto anno per anno, in tesi congruo. Costituisce, tuttavia, interpretazione consolidata, dalla quale non sono state fornite valide ragioni per discostarsi, quella che insegna che l’art. 2126 c.c. permette al dipendente interessato di conseguire le differenze retributive tra il trattamento spettante al personale di ruolo di qualifica corrispondente alle mansioni svolte col contratto nullo ed il trattamento, diverso, di fatto corrisposto per il periodo di esecuzione del rapporto sub judice (C.d.S., V, 9 novembre 2004, n. 7220; V, 18 settembre 2003, n. 5293; VI, 11 marzo 2004, n. 1234; V, 7 settembre 2001, n. 4671; V, 18 marzo 1998, n. 314).

Lo stesso indirizzo è del resto seguito anche dalla Suprema Corte, che ha più volte puntualizzato che un rapporto di lavoro subordinato di fatto con un ente pubblico, funzionale ai fini istituzionali dello stesso ente, ancorché non assistito da un regolare atto di nomina e, al limite, vietato da norma imperativa, non impedisce, secondo l'orientamento appunto prevalente della Corte, l'applicazione dell'art. 2126 c.c., con il diritto alla retribuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico regolare.

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